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PLASTICA | SUPERARE IL SENSO DI COLPA

Stuart Haygarth Strand (2012)

Intorno al 2009 io e mio figlio di sette anni, ci inventammo un passatempo al mare. Avevamo notato che il fondo marino della nostra spiaggia preferita, pur essendo in un’oasi naturale, era disseminato di buste di plastica, frammenti di reti, contenitori e piatti di plastica, un vero assedio per i pesci che si muovevano intorno. Con l’aiuto di una grande borsa di rete cominciammo ad immergerci e a ripulire il fondale. A fine giornata la borsa era piena di frammenti di plastica e ci sentivamo molto soddisfatti. Ogni giorno facevamo nuove scoperte di rifiuti da raccogliere e così la vacanza cominciò a trascorrere in modo molto attivo. Solo che quello che all’inizio era un utile passatempo divenne una missione. Io e mio figlio, pur essendo un bambino, cominciammo a renderci conto, nello scorrere dei giorni, che si stava profilando per i mari una vera emergenza: i rifiuti di plastica. Da allora combatto, spalleggiata da mio figlio, la mia quotidiana battaglia per minimizzare i rifiuti. Quella che è stata un’intuizione di dieci anni fa, oggi è una realtà, ma non c’è niente di positivo in questo. I rifiuti di plastica sono diventati una emergenza a livello mondiale.

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Si calcola che siano almeno sei le isole di spazzatura immense e nocive che galleggiano negli oceani, le “garbage patch” e che  stanno conquistando gli oceani seguendo le correnti naturali.  La più grande di tutte è la  Pacific Trash Vortex”. E’ composta prevalentemente da plastica, metalli leggeri e residui organici in degradazione,  è situata nell’Oceano Pacifico e si sposta, seguendo la corrente oceanica del vortice subtropicale del Nord Pacifico. Le sue dimensioni sono immense: le stime parlano di un minimo di 700.000 km² di estensione fino a più di 10 milioni di km², per un totale di circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati (c’è chi parla perfino di 100 milioni). Per dare un’idea più precisa, le sue dimensioni sono simili a quelle della Spagna, della Francia e della Germania messe insieme, o maggiori di tutti gli Stati Uniti nella peggiore delle previsioni. Difronte a questi numeri, qualcosa si sta muovendo, non solo in interventi diretti su queste isole, ma anche cercando nuove tecnologie di riciclo della plastica. Gli uomini sono una razza con un forte spirito di sopravvivenza che va dal più bieco egoista al più puro sognatore visionario. Probabilmente appartengono a quest’ultimo genere gli architetti dello studio WHIM di Rotterdam che hanno presentato Recycled Island, un progetto di ricerca sul potenziale di realizzazione di un’isola galleggiante abitabile nell’Oceano Pacifico, formata dai rifiuti di plastica che stanno galleggiando nell’oceano. La proposta ha tre obiettivi principali:  1. pulire i nostri oceani da una quantità enorme di rifiuti di plastica; 2. creare nuova terra per contrastare l’innalzamento degli oceani; 3. costruire un habitat sostenibile. Sull’isola, che, all’inizio, avrebbe un’area grande quanto le Hawaii, proseguirebbe il riciclo dei rifiuti di plastica prelevata direttamente dal mare, trasformandoli in ulteriore area galleggiante. A Rotterdam è stato creato un esempio in versione ridotta: un giardino pubblico galleggiante creato con la plastica riciclata.

COME E’ POTUTO SUCCEDERE?

In febbraio la multinazionale IKEA ha virtuosamente lanciato una cucina Kungsbacka rivestita con un laminato fatto interamente di bottiglie di PET, ma ormai il PET viene interamente riciclato in vari prodotti. La plastica che galleggia sul mare non è di PET, ma di POLIPROPILENE e derivati, molto più difficile da riciclare, perché composta da polimeri derivati dal petrolio e utilizzati puri o miscelati con additivi che ne influenzano le proprietà. Una delle prime difficoltà del riciclaggio è nel fatto che, appunto, non si parla di un materiale da riciclare, bensì molti diversi tra loro: nelle sole bottigliette di plastica ce ne sono due: il polietilene teraftalato (PET), utilizzato per la bottiglia e il polipropilene (PP), impiegato invece per il tappo.

Bottiglie di PET

I diversi materiali quindi, devono essere separati e hanno bisogno di trattamenti differenti per poter essere rigenerati. Per questo motivo i tassi di riciclo, variano molto: il totale è solo intorno al 15 % delle plastiche prodotte. Notevoli sono le differenze: nella UE il tasso è al 30%, mentre negli gli Stati Uniti si aggira solo al 10%. Se i  valori più alti sono quelli del riciclo del PET e del polietilene ad alta densità (HDPE), i più bassi riguardano il polivinilcloruro o PVC  e il polipropilene.

Tappi in PVC

D’altra parte l’americana Procter & Gamble ha concesso in licenza una tecnologia di riciclaggio di polipropilene a PureCycle e ha collaborato con l’azienda americana a un nuovo impianto  per portare la tecnologia su vasta scala. L’innovativo processo di riciclaggio, brevettato, separa colore, odore e qualsiasi altro contaminante dalla materia prima dei rifiuti plastici per trasformarlo infine in polipropilene riciclato ultra-puro. Questo processo chiude completamente il ciclo di riutilizzo delle materie plastiche riciclate, rendendo le materie plastiche riciclate più accessibili su vasta scala alle aziende che desiderano utilizzare una resina riciclata sostenibile.

TUTTO COMINCIO’ IN ITALIA

Spetta a  un ingegnere italiano, Giulio Natta, l’invenzione del Moplen, la comune plastica, che gli valse il premio Nobel nel 1963. Il Moplen rivoluzionò completamente  l’Italia – e il resto del mondo – negli anni del boom economico introducendo nelle case secchi, bacinelle, giocattoli, spremiagrumi, stoviglie, frullatori, mestoli e ogni sorta di contenitori.

Pubblicità del Moplen

Su Carosello il comico Gino Bramieri pubblicizza il Moplen 

Il mondo del design adottò con entusiasmo il Moplen progettando oggetti moderni e sconosciuti, che segnavano un’epoca nuova e un’estetica moderna: colorati, leggeri, infrangibili e impermeabili. Tanto fu l’entusiasmo da portarci alla critica situazione attuale.

QUAL’E’ L’IMPATTO DEI RIFIUTI DI PLASTICA NEL DESIGN?

Il designer è una figura particolare, dietro ogni oggetto che progetta, esiste sempre un’insieme di riflessioni, di idee e ispirazioni, insomma un retropensiero unito a un’innata capacità di problem solving.

Per questo motivo, sempre più designer e aziende hanno cominciato a riflettere su come riciclare la plastica, sul riutilizzo, l’uso e l’abuso. Solo nel 2018 c’è stato un incremento del 66% delle ricerche sul web della parola ecosostenibile, questo dato è molto interessante per capire il grado di coinvolgimento e consapevolezza dell’importanza del mutamento delle nostre abitudini di consumo nella nostra esistenza.

Alcuni designer hanno reagito rinunciando ai materiali plastici, mentre altri hanno cominciato a fare ricerca sull’utilizzo della plastica riciclata, altri ancora sono andati più a fondo riflettendo sull’utilizzo della plastica raccolta in mare in collaborazione con aziende lungimiranti.

E’ vero che la plastica riciclata, per il momento è più rigida e con colori meno brillanti, ma il problema delle isole di spazzatura sta diventando così grande, per cui diventerà prioritario incentivare al massimo la ricerca sul riutilizzo e le aziende che adesso sono pioniere se ne avvantaggeranno.

Durante l’ultima edizione del Salone del Mobile a Milano, l’appello a un uso responsabile della plastica è arrivato anche da Rossana Orlandi, geniale talent scout e fondatrice dello storico Spazio Rossana Orlandi a Milano. La sua campagna guiltless plastic ha voluto sensibilizzare i designer alle mille possibili applicazioni della plastica riciclata. Sempre nei giorni del Salone, la conferenza Senso di Colpa ha raccolto i case study più rilevanti, mentre in autunno  è attesa la promozione di un concorso per premiare i progetti più innovativi realizzati con plastica riciclata.

Rossana Orlandi Senso di Colpa

Più veemente Cyrill Gutsch, ex  designer pluripremiato e sviluppatore di marchi e prodotti. Nel 2012 ha deciso di concentrarsi su un nuovo cliente vitale per tutti noi: gli oceani. Ha fondato la Parley for the Oceans come rete di collaborazione per creatori, pensatori e leader per creare consapevolezza per la bellezza e la fragilità degli oceani e creare strategie che possano porre fine alla loro distruzione. Egli  è arrivato a dichiarare che la plastica rappresenta un autentico fallimento per il mondo del design, una droga da cui dobbiamo disintossicarci, correggendo le nostre finalità progettuali e le nostre abitudini di consumatori.

Una fabbrica dove si ricicla la plastica a Dhaka, Bangladesh.

(Khandaker Azizur Rahman Sumon, NurPhoto/Getty Images)

I PIONIERI DEL RICICLO

Per fortuna i giovani creativi stanno intensificando la volontà e studiando un modo per cambiare il mondo e salvare i nostri mari. Il caso “Pacific Trash Vortex” ha dato una notevole spinta nella ricerca di una soluzione.  Se lo studio WHIM di Rotterdam sta sviluppando un progetto per trasformare le isole di plastica in terraferma, un altro olandese Boyan Slat, a soli ventidue anni, ha fondato, nel 2013, l’infrastruttura ad oggi più accreditata per ripulire l’ambiente marino: The Ocean Cleanup, che sta progettando e sviluppando il primo metodo fattibile per liberare gli oceani di plastica del mondo: il suo System 001  è diventato virale e ha raccolto il sostegno mondiale.

Il ventenne inventore Boyan Slat 

L’idea è semplice e geniale: poiché inseguire in modo attivo la plastica con navi e reti sarebbe lento, costoso e produrrebbe enormi quantità di emissioni di carbonio, System 001 è un sistema passivo per catturare la plastica. Il sistema consiste in un galleggiante di 600 metri che si trova sulla superficie dell’acqua e una gonna affusolata di 3 metri di profondità attaccata sotto. Il galleggiante impedisce alla plastica di scorrere su di esso, mentre la gonna impedisce ai detriti di fuoriuscire. Mentre il sistema si muove attraverso l’acqua, la plastica continua a raccogliersi entro i confini del sistema a forma di U. System 001 si muove seguendo le correnti in modo autonomo e impostato su  algoritmi che  aiutano a specificare le posizioni di distribuzione ottimali, per girare intorno alle isole di spazzatura. La telemetria in tempo reale consente di monitorare le condizioni, le prestazioni e la traiettoria di ciascun sistema. Dopo i test pilota, l’Ocean Array Cleanup è oggi pronta per il suo battesimo in mare. Conditio sine qua non: portare a termine il piano ambizioso di ripulire il 50% del Great Pacific Garbage Trash nei prossimi cinque anni.

   

System 001 di Ocean Clean Up

QUALCHE ESEMPIO DI DESIGN VIRTUOSO

Adidas nel 2017 ha venduto oltre un milione di esemplari di Parley ULTRABOOST, realizzate con plastica riciclata dagli oceani in collaborazione con l’organizzazione Parley for the Ocean di Cyrill Gutsch. In seguito, visto il successo, ha prodotto con Parley capi di abbigliamento e anche le maglie della squadra di calcio Juventus.

Parley ULTRABOOST

S-1500 LA SEDIA DI PLASTICA RICICLATA CON LE RETI DEI PESCATORI.

Lo studio norvegese Snøhetta ha lavorato per due anni a un progetto di ricerca legato alla plastica. L’obiettivo  chiave è stato quello di spostare l’atteggiamento del pubblico nei confronti della plastica usata, spostandola da spreco a risorsa preziosa, utilizzandola in modi nuovi. Insieme al produttore di mobili Nordic Comfort Products (NCP), Snøhetta ha sviluppato una sedia con un corpo in plastica riciclata al 100% proveniente dall’industria ittica locale nel nord della Norvegia e un telaio ausiliario in acciaio riciclato, eliminando in questo modo la necessità di utilizzare nuove materie prime nella produzione.  La sedia è prodotta con una carbon footprint, impronta di carbonio –il parametro per stimare le emissioni gas serra- tra le più basse sul mercato.Conosciuta come S-1500, la sedia è una riprogettazione strutturale della classica sedia pieghevole R-48 del modernista norvegese Bendt Winge, anch’essa prodotta dalla NCP per scuole e uffici e che ha venduto negli anni Sessanta oltre cinque milioni di esemplari solo in Norvegia.

S-1500 la sedia dello studio Snøhetta 

I materiali utilizzati per la produzione della sedia S-1500 sono forniti da aziende ittiche locali come Kvarøy Fiskeoppdrett e Nova Sea, che riforniscono NCP delle loro reti, corde e tubi, tutto materiale ormai logoro e inutilizzabile e che viene, una volta raccolto, successivamente macinati in un granulato che può essere iniettato nelle casseforme, generando infinite possibilità di sviluppo di nuovi oggetti. In questo modo, il progetto contribuisce alla costruzione di un’economia circolare locale, poiché utilizza rifiuti di plastica provenienti dall’industria locale per produrre sedie nella stessa area.Grazie alla sua tecnica di produzione e alle diverse composizioni di plastica, il modello di ogni sedia sarà unico, anche se la sedia sarà prodotta in serie. La sua superficie opaca, di un verde scuro venato che assomiglia al marmo, racconta la storia del viaggio della plastica che è stata reti da pesca nel Mare del Nord, confluita negli impianti di produzione del NCP e alla fine sedia in una scuola, in una casa o in una struttura pubblica. La filosofia di questa sedia è che per ridurre la necessità di produrre plastica vergine nuova, i consumatori e l’industria devono riconoscere il valore intrinseco della plastica usata e trovare modi per sostituire la plastica vergine con il materiale riciclato, ispirando le persone a impiegare materiale di scarto in modi nuovi e sostenibili attraverso l’innovazione e il design.

   

Verde intenso con venature, ogni sedia è diversa 

E ANCORA…

DIRK VANDER KOOIJ dall’Olanda

Tavolino Meltingpot di Dirk Vander Kooij

con i colori delle ceramiche di Delft

Il tavolino Meltingpot gioca un ruolo chiave nell’approccio di Dirk Vander Kooij al design circolare e sostenibile. Il processo di produzione di Meltingpot fonde i numerosi esperimenti in un unico paesaggio in continua evoluzione. Attraverso una stampa “casalinga” di prototipi sviluppata utilizzando sedie, vasi, armadietti e altri scarti che vengono affettuosamente rielaborati in tavoli indistruttibili. Il processo ha finito per includere una gamma di fonti di plastica: CD, mobili da giardino e tubi agricoli solo per citarne alcuni. Con un design volutamente elementare, una singola lastra su una base conica, tutto per mettere in evidenza la suggestiva superficie ricavata da materiali così  improbabili.

Tavolo da pranzo in plastica riciclata: effetto alabastro

 

STUART HYGARTH IL PREVEGGENTE

Lampadario TIDE (2011)

Elevare il luogo comune o l’oggetto scartato è il soggetto principale del lavoro di Stuart Haygarth. I suoi squisiti oggetti di design e le installazioni sono realizzati con  detriti lasciati dall’uomo  nel mare e recuperati sulle coste. Creando ordine e simmetria nella casualità, il suo lavoro riguarda tanto il processo di raccolta e di confronto dei materiali quanto l’elevazione di questi materiali a oggetti di valore o di bellezza. Costruendo narrazioni su tempo, perdita, abbandono e modernità. gli aspetti umani legati agli oggetti scelti sono parte integrante e forza trainante del lavoro. Come ha detto, “il mio lavoro ruota attorno agli oggetti di uso quotidiano, spesso raccolti in grandi quantità, catalogati e presentati in modo tale da dare loro un nuovo significato. Si tratta di oggetti banali e trascurati che acquistano nuovo significato “.

Lampadario UFO (2009)

SABATO, 8 GIUGNO GIORNATA MONDIALE DEGLI OCEANI

Sabato 8 giugno è la Giornata Mondiale degli Oceani, l’iniziativa istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 in occasione del vertice sull’ambiente di Rio de Janeiro e poi approvata nel 2008 con la risoluzione  e 63/111 (paragrafo 171) dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L’obiettivo è quello di far riflettere l’opinione pubblica sull’importanza della tutela ambientale di questa importante risorsa del pianeta, che sconta gli effetti deleteri dell’inquinamento, del cambiamento climatico e soprattutto della massiccia ed esponenziale presenza dei rifiuti in plastica.

Foto di Francis Perez

Un invito per progettare oggetti sempre più ecosostenibili e sperimentare nuovi materiali, nuove prospettive, nuovi traguardi. 

testo di Caterina Magliulo

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