COVID 2020 | Cambia anche il design

Maschera Decathon trasformata in casco C-PARP da ISINNOVA

Durante la prima ondata di contagi da Covid, l’Italia, la Lombardia in particolare, si è ritrovata a fronteggiare un’autentica tempesta perfetta. C’è stato un momento in cui almeno uno di noi ha pensato:” Ecco siamo giunti alla fine di tutto.”. Gli ospedali sovraffollati di malati hanno cominciato a soffrire la carenza degli strumenti essenziali per salvare le vite umane. Sembrava si fosse ormai sull’orlo di un baratro, ma gli italiani sono un popolo che ha già dato in più occasioni prova di RESILIENZA. Siamo duttili, se una strada si rivela impraticabile non ci accaniamo, non ci ostiniamo in posizioni rigide, ma cambiamo semplicemente atteggiamento e cominciamo a cercare o creare strade alternative. E’ coltivando questo atteggiamento che si sviluppa la creatività italiana. Quando la capacità di adattamento raggiunge la sua massima espressione, possiamo definirla RESILIENZA. L’Italia ha subito in duemila anni quarantadue dominazioni straniere, eppure siamo sopravvissuti, ogni volta più adattabili, smaliziati e da ogni dominazione abbiamo saputo assorbire quanto c’era di buono. Da marzo conviviamo con l’invasione del Covid-19 e abbiamo dato prova della consueta resilienza. Ma c’è un episodio che mi piace ricordare, perché non solo è il più rappresentativo, ma perché si è verificata una effettiva collaborazione del design  con la medicina arrivando a guadagnare un ruolo addirittura salvifico.

Tra tutte le difficoltà che gli ospedali più hanno avvertito la scorsa primavera nel fronteggiare le insufficienze respiratorie causate dalla polmonite interstiziale da Covid era la sempre maggiore carenza dei caschi respiratori C-PAP, uno scafandro trasparente di plastica con collare morbido alla base, che eroga al paziente con difficoltà respiratoria la dovuta pressione di ossigeno effettuata senza un ventilatore meccanico, ma connettendo direttamente il paziente ad un sistema a Pressione Positiva Continua delle vie Aeree, chiamata appunto C-PAP. Questi caschi erano essenziali, perché i malati di Covid colti da polmonite interstiziale, potevano, grazie ad essi, essere assistiti senza ricorrere a personale specializzato:  una soluzione d’emergenza per affrontare il moltiplicarsi di pazienti con difficoltà respiratorie e che permetteva di non saturare i reparti di terapia intensiva.

L’idea per ovviare alla progressiva carenza dei caschi C-PAP è venuta ad un ex primario dell’Ospedale di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, il dottor Renato Favero, che aveva visto il nuovo modello della Decathon di maschera subacquea  granfacciale ,a  tenuta stagna,  impermeabile e antinebbia ideale per lo Snorkeling . Osservandola, ha avuto la brillante intuizione di escogitare se non si potesse adattare a casco C-PAP,  così si è messo in  contatto con la Isinnova, una società costituita da un team di ingegneri, designer ed esperti di comunicazione che si dedica alla raccolta di idee per trasformarle in oggetti concreti, che stava realizzando in stampa 3D le valvole di emergenza per respiratori.

Così da questa collaborazione tra medico, designer e ingegneri è nata l’idea che ha concretamente trasformato la maschera Decathlon in  maschere C-Pap, riuscendo a  fronteggiarne la penuria di che stava emergendo in questi giorni come la problematica principale legata alla diffusione del Covid-19.

Il prototipo delle valvole dette Charlotte e del nuovo raccordo al respiratore è di fatto nato in 7 giorni ed è stato testato direttamente nell’ospedale di Chiari, nel bresciano, dimostrandosi  perfettamente funzionante, collegando direttamente la maschera all’ossigeno con la presa al muro.

In questa straordinaria, e -non vergogniamoci- commovente gara dell’ingegno a tempo di record, c’è un altro punto che io trovo straordinario: chiunque potrà stampare liberamente valvole e raccordo, a condizione che non siano utilizzate  a scopo di lucro. Quindi nessuno potrà percepire diritti e guadagni sull’idea del raccordo e, tantomeno sulla vendita delle maschere Decathlon. Una storia bellissima dove la genialità si è unita all’altruismo.

Questo è un autentico caso di BUON DESIGN.
Per decenni abbiamo temuto lo scoppio di una terza guerra mondiale. Seguivamo con apprensione le mosse di Russi e gli Americani, Cinesi e Americani, Iracheni, Iraniani fino all’autunno scorso i Coreani del Nord. Invece è spuntato un virus di 9/12 nano micron, equivalenti 9/12 miliardesimi di metro che sta mettendo in ginocchio il mondo. La sua diffusione nel mondo è completa, non esiste stato che non abbia avuto contagi, sembrava all’inizio una semplice influenza che poi si è rivelata mortale e così è scattato il Lockdown che ha provocato il confinamento in casa di milioni di persone in tutto il mondo. Dopo una pausa estiva la pandemia è tornata ed eccoci di nuovo confinati in casa dal secondo Lockdown. Ma qualcosa è cambiato: siamo consapevoli che dopo questa pandemia niente sarà più come prima e ci sta profondamente cambiando. Tutti i nostri valori sono stati sovvertiti. Si è coniato un nuovo termine: distanziamento sociale che significa la fine degli assembramenti e la distanza minima di 1,5 metri tra gli individui. Non sarebbe più giusto chiamarla lontananza? Le persone, fino a quando non terminerà del tutto questa pandemia non potranno più abbracciarsi e baciarsi.

All’inizio eravamo completamente impreparati, mancavano molti dispositivi di sicurezza e molti si sono ingegnati. Tutti si sono lanciati nella creazione di mascherine protettive, che erano diventate ormai introvabili. Sono spuntati scampoli di tessuto abbandonati in fondo all’armadio, le macchine da cucire sono diventate ambitissime, sono stati pubblicati tutorial casalinghi su come fabbricarle. Anche i designer si sono messi in gioco con risultati eccellenti, dando la possibilità di scaricare gratis i tutorial, come lo STUDIO PASTINA.

 

In seguito, sempre più aziende hanno convertito la produzione fabbricando mascherine e camici, gel disinfettanti, sempre più innovativi e sicuri. Le capacità performanti e antimicrobiche hanno raggiunto livelli prima inimmaginabili e sono stati studiati modelli sempre più comodi e dotati di forme areodinamiche sempre più affascinanti. Nella primavera eravamo già in un lontano passato, adesso siamo proiettati nel futuro. Eppure questo secondo Lockdown ci ha trovati ugualmente impreparati. Durante il primo avevamo il il confronto con la Cina che ci mostrava un paragone da raggiungere, la misteriosità del Coronavirus mai domo, ci spingeva a combattere, a cercare il modo di annientarlo, ci inventavamo modi nuovi per convivere e lavorare negli appartamenti affollati come altri, invece,  hanno dovuto affrontare una solitudine nuova. Una sana adrenalina ci muoveva a reagire e combattere, a trovare il modo di sopravvivere. Il secondo Lockdown lo temevamo da tempo, molti hanno assunto comportamenti rischiosi negazionisti accelerandolo. L’adrenalina si è esaurita. Siamo stanchi, depressi, molti alle prese con problemi economici, un’intera generazione di ragazzi si è visto scippare il futuro, poichè navighiamo a braccio nell’incertezza. Non sapremo se potremo festeggiare il Natale insieme, non sappiamo quando potremo riprendere a muoverci, viaggiare, riunirci e festeggiare la fine di questo incubo.
E’ questo il momento di tirare fuori la RESILIENZA e il DESIGN VIRTUOSO, l’autentico BUON DESIGN.
A cosa serve fondamentalmente il design? A migliorare la qualità della vita.
E’ ormai diventata una priorità cominciare ad utilizzare materiali riciclati secondo un modello di economia circolare.
La moda ha colto per prima il bisogno di cambiamento e si è mossa praticando il RIUSO  o upcycling per incrementare il BILANCIO DI SOSTENIBILITA’. Giganti come H&M hanno pubblicato il Sustainability Report 2018, secondo cui, “nel 2018, la quota di materiali utilizzati di natura riciclata o sostenibile è arrivata al 57 per cento. In altri due soli anni questo tasso di miglioramento raggiungerebbe presto  la quota al 100 per cento.” Ma le previsioni sono state superate per cui l’utilizzo del cotone biologico nel 2020 è stato già pari al 95%, ed è quindi facile prevedere che il gruppo stia  per raggiungere l’obiettivo del 100% entro il prossimo anno.

Diverse sono le strade che hanno deciso di percorrere gli stilisti.

Alcuni come il designer di streetwear contemporaneo Heron Preston ha realizzato una collezione di moda riciclata unica, JUMP, in vendita i esclusivamente tramite il sito Web di e-commerce SSENSE.I modelli  di Heron Preston pur essendo creati con materiali riciclati sono molto eleganti,  con palette di colori energetici come  il rosso che viene accoppiato con l’arancione. Ma l’aspetto più interessante è che i capi sono stati realizzati  riciclando materiali resistenti come  paracaduti usati,  contribuendo così alla produzione sostenibile. Questa modalità di produzione vanta anche un altro vantaggio: l’unicità. Poiché ogni capo è confezionato riciclando del materiale preesistente,  sarà unico, diverso dagli altri pur appartenendo alla stessa collezione.

Liu Wen e Guinevere Van Seenus sono stati fotografati per il numero di settembre di Vogue in una struttura di riciclaggio indossando abiti riciclati e rigenerati da Marine Serre, Stella McCartney, CDLM ed Everlane. Photographed by Tierney Gearson, Vogue, September 2019

La parola chiave adottata  dal numero di gennaio 2020 di Vogue assunse, alla luce della pandemia che è comparsa poco dopo, un significato profetico e profondo: VALORI, riferendosi soprattutto alla necessità che ha la moda di rivalutare il suo sistema di valori, e rapidamente. Cambiare il sistema  con cui  il denaro viene investito e speso; i marchi devono riflettere valori vicini a noi; e dobbiamo cambiare la scala di valori di  ciò che acquistiamo e indossiamo. Nella moda, l’inverso del valore potrebbe essere la disponibilità: se la tua maglietta costa come un gelato, probabilmente non ci penseremmo due volte a buttarla via quando si rovina. Il valore non riguarda solo il prezzo, naturalmente:  capita anche che si sia più affezionati a un vecchio golf che  a un abito firmato. Ma qui sorge una domanda sostanziale: si apprezza di più  un abito perché è vintage o perché è firmato  oppure semplicemente perché ha una storia? Ormai si era giunti a un’accelerazione di acquisti di capi da pochi euro che si consumavano in fretta e poi venivano buttati per comprarne altri. D’altra parte esistono persone con armadi ricolmi di abiti firmati indossati pochissime volte o addirittura ancora con l’etichetta attaccata. Questo sistema di consumo presuppone un uso eccessivo di materiali, risorse energetiche, coloranti chimici ed è arrivato il momento per un’inversione.La pandemia del COVID ha azzerato tutto.  La capacità di acquisto è diminuita considerevolmente. Il vivere bloccati in casa ha portato la gente a vestirsi in modo più semplice, economico e soprattutto confortevole. Ci si è forzatamente disintossicati dallo shopping selvaggio, poiché si è stati costretti a stabilire nuove priorità, dove l’apparire è precipitato nelle ultime posizioni. Le generazioni future dovranno affrontare la scarsità di risorse e le conseguenze del consumismo come non abbiamo mai fatto, per cui i tessuti  diventeranno un prodotto di grande valore, e le grandi favorite per ottenere il successo saranno  quelle  aziende  che faranno del loro  meglio sia per i consumatori che per il pianeta.

Anche gli stilisti più accreditati hanno cominciato a ragionare sulla possibilità di creare capi unici riciclando capi vintage. Per esempio Miuccia Prada ha unito una serie di abiti vintage per dare vita al progetto Upcycled by Miu Miu, una collezione limitata ed esclusiva di 80 abiti nati a partire da capi non firmati provenienti proprio da mercatini e negozi di tutto il mondo. Questi vestiti, tutti compresi tra gli anni Trenta e i Settanta, sono stati modificati per essere reinventati, con l’aggiunta di decorazioni  di paillettes, ricami, cristalli, perle, fiocchi per renderli riconoscibili e personali. Un’operazione molto simile a quella continua opera di riammodernamento del proprio guardaroba come possiamo leggere in Jane Austen, “Piccole Donne” di Louisa May Alcott o semplicemente ascoltando i racconti delle nostre nonne, soprattutto quelle sopravvissute alla Seconda Guerra Mondiale e si era lanciata la moda dei calzini bianchi per ovviare alla mancanza di collant. Quando i pantaloni strappati del padre diventavano gonne a matita e i cappotti venivano smontati e cuciti con il tessuto rivoltato, magari cambiando il colletto.

 

L’attrice Elisa Visari con l’abito Upcycled by Miu Miu indossato per i Green Carpet Fashion Awards 2020

Anche il  DESIGN VIRTUOSO ha lo sguardo rivolto verso il futuro e l futuro del design è l’UPCYCLING.

Nel design  l’innovazione ha sempre svolto un ruolo importante. Se prima il  futuro era rappresentato  solo da design innovativo, in questo 2020 ci siamo resi conto che c’è molto di più, oltre  l’innovazione,  la tecnica, il software, i metodi di produzione, i materiali e la funzione. Ancora una volta, tutti aspetti molto importanti, ma se uniti alla sostenibilità, raggiunge il suo valore massimo .

Eking It Out | Photo © Rupert Herring

L”upcycling è  il processo di trasformazione di materiali e oggetti di scarto, prodotti ormai inutili e indesiderati in  prodotti e materiali innovativi, con una funzione diversa e spesso con un migliore valore ambientale .
L’obiettivo dell’upcycling è prevenire lo spreco di materiali potenzialmente utili facendo uso di quelli esistenti. Ciò riduce il consumo di nuove materie prime durante la creazione di nuovi prodotti. La riduzione dell’uso di nuove materie prime può comportare una riduzione del consumo di energia, dell’inquinamento atmosferico, dell’acqua e persino delle emissioni di gas serra.

 


Dirk-vander-KooijTavolo da pranzo in plastica riciclata.

Il messaggio più evidente che ci sta dando questa pandemia da COVID  è che sempre di più niente sarà più come dovrebbe essere. Una conseguenza è l’impoverimento della disponibilità di materiali nuovi. Certo è più facile progettare qualcosa da zero in cui il designer può scegliere di utilizzare qualsiasi materiale o oggetto disponibile. Sta crescendo l’upcycling dei materiali fabbricandone altri ecosostenibili e disponibili (abbiamo ancora intere montagne e isole di plastica da riciclare) colmando la carenza. Ma progettare qualcosa in cui è necessario utilizzare un vecchio oggetto o materiale diventa  piuttosto difficile e impegnativo, ma adesso necessario.

Personalmente trovo il riciclo molto divertente e stimolante, ma richiede uno sforzo creativo in più.

C’è un altro aspetto dell’upcycling che non è stato menzionato. Oltre ai vantaggi ambientali, l’upcycling stimola anche i posti di lavoro e migliora le condizioni di vita delle persone. La gente del posto è motivata a partecipare a iniziative di upcycling, come in India. I partecipanti, spesso artigiani e lavoratori qualificati, utilizzano materiali / oggetti di scarto e li trasformano in straordinari prodotti di riciclo progettati da noti designer. In questo modo la spazzatura si trasforma in tesori.

Il design e l’arte dell’upcycle esistono da molto tempo. Basta guardare l’arte realizzata da Marcel Duchamp, Pablo Picasso e molti altri artisti. Intorno agli anni ’90 alcuni incredibili designer hanno iniziato a mostrare il design realizzato con prodotti di uso quotidiano. Non sempre utilizzavano materiali e oggetti scartati, ma mostravano cosa si poteva fare. Hanno sottolineato che dovremmo guardare gli oggetti in un modo diverso. In un modo che un determinato oggetto potesse avere una nuova vita, una diversa funzione. E così facendo si sono spinte idee per utilizzare rifiuti e roba vecchia, trasformandoli in nuovi pezzi di design.

 

Lampada di bottiglie di plastica di Miss

Il riciclo è una sfida, ma anche un gioco che ha spinto a creare oggetti bellissimi  famosi design del passato come Gae Aulenti che con il fantastico tavolo chiamato “TOUR”, progettato nel 1993 per Fontana Arte ci regala non solo divertimento, ma anche una lezione di stile tutto italiano.

 

Tavolo Tour ©Fontana Arte

Un altro grande nome nel design è Ingo Maurer. È uno dei lighting designer più innovativi e influenti che lavorano oggi e ha esposto in molti importanti musei in tutto il mondo. Uno dei suoi iconici pezzi di design epiciclo si chiama design Porca Miseria! Una splendida lampada a sospensione realizzata con frammenti di porcellana.

Lampada “Porca Miseria!” Ingo Mauer 1994

Trovo molto interessante il movimento degli IKEA HACKERS che ha avuto un tale successo da far nascere aziende che riciclano come base i mobili più semplici e essenziali o i moduli base di IKEA per trasformarli in mobili economici e eleganti.

INGARO Sideboard

 

Cucina REFORM, modello Basis

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